e
la cosa è vista in diversi ambienti come di notevole significato e interesse.
Anche L’OsservatoreRomano, che a quello studio, al suo primo
apparire, non aveva dato attenzione, adesso ha mostrato interesse. Anzi, il
giornale della Santa Sede aveva già riportato significativa informazione circa
un Convegno di studio riguardante la personalità e l’opera letteraria,
filosofica e teologica del pensatore di
Lugano.
Nel 1985, l’Editore Ricciardi pubblicava un corposo
e accurato studio di Romano Amerio, dal titolo Iota Unum - Studio delle
variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. Ora, due altre Case
editrici hanno annunciato la riedizione di quel libro di 656 pagine [Fede e Cultura
-Verona e Lindau -Torino], e
la cosa è vista in diversi ambienti come di notevole significato e interesse.
Anche L’OsservatoreRomano, che a quello studio, al suo primo
apparire, non aveva dato attenzione, adesso ha mostrato interesse. Anzi, il
giornale della Santa Sede aveva già riportato significativa informazione circa
un Convegno di studio riguardante la personalità e l’opera letteraria,
filosofica e teologica del pensatore di Lugano.
Un’opera silenziata
Al primo apparire
dello studio di Romano Amerio non fu certamente soltanto L’Osservatore Romano a fare silenzio su
l’opera che era stata concepita per far riflettere, per far pensare, per
richiamare al rigore di ragionamento dell’intelletto umano. L’opera da
moltissimi ambienti di cultura (soprattutto di cultura religiosa, di cultura
teologica) era stata ignorata, condannata proprio al silenzio. Da altri
ambienti, invece, ahimè, era stata pregiudizialmente bollata come scritto
anti-conciliare, tipico esempio di un rifiuto del pensiero nuovo, dell’era
nuova, della nuova pentecoste, della nuova primavera dello spirito; frutto di
una mens che si meraviglia che da un
nuovo incessante pensare nasca necessariamente una nuova azione, un nuovo modo
di azione, e dunque di impostare tutta la missione della Chiesa: se la Chiesa ha
di sé stessa una nuova concezione - e questo era in quel tempo il modo di
ragionare dominante di molta letteratura che si presentava come cattolica -, se
dal Concilio è nata una nuova ecclesiologia, perché non accogliere una nuova
pastorale, nuovi metodi di azione all’interno di tale nuova Chiesa, perché non
accettare che un pensiero che sempre si rinnova, che sempre si autocrea, generi
un continuo cambiamento nell’azione, un progresso indefinito, verso qualcosa che
resta sempre necessariamente indefinito?
Non si meravigli il lettore
della descrizione dell’ambiente che prevaleva dentro la Chiesa quando l’opera di
Amerio fu pubblicata. Non poteva sicuramente dare buona attenzione al pensiero
di Amerio chi era ormai convinto che il Concilio Vaticano Il rappresentasse una
vera discontinuità con quello che la Chiesa aveva per secoli, nel passato,
insegnato, operato, vissuto. Diffusissima era la mentalità secondo la quale il
Vaticano II fu davvero una rivoluzione, una svolta (cambiamento di direzione),
un mutamento radicale o sostanziale (benché non si adoperasse quest’ultimo
termine, poiché sostanza era un concetto
appartenente a una filosofia superata, superata dal pensiero filosofico moderno
... ).
Per molti, moltissimi, il mettere a silenzio, il rifiutare il
pensiero di Amerio era naturale, era anzi un dovere: nessuno poteva permettersi
di ingenerare dubbi di qualsiasi natura sul Vaticano II, se non – tutt’al più -
per dire che esso era stato ancora troppo prudente, e che quindi era necessario
andare oltre, poiché sempre si deve andare oltre.
Ragionamento sempre lineare
Se
qualcuno ritenesse eccessivo questo discorso, avrebbe senz’altro la possibilità
di tentare di mostrare il perché la pensa in tal modo. Così, quelli che
ritenevano, allora, eccessivo il ragionamento di Romano Amerio (in verità sempre
lineare, sempre ben articolato, di immediata comprensione) avrebbero potuto
instaurare un dialogo (che peraltro propugnavano come la vera formula di ogni
progresso nel pensiero e nell’azione e nel trovare la concordia), avrebbero
potuto tentare di dimostrare perché la filosofia che sottostava a tutte le
pagine di quel libro non era più accettabile, benché fosse stata la filosofia
comune all’interno della Chiesa, per secoli, superando cambiamenti storici
(sempre accidentali), epoche molto travagliate nella vita della Chiesa e nella
vita del mondo. Non lo fecero: tacquero o rifiutarono in blocco, senza dire le
ragioni del rifiuto.
Perché ora, qui e là, sembra esservi a riguardo del
pensatore di Lugano una qualche attenzione, un atteggiamento un poco mutato?
Forse perché, almeno in certi ambienti ecclesiali (non però sicuramente in
tutti) ci si sta accorgendo, e quasi si sta costatando, che senza continuità di
pensiero, e quindi nell’azione; che senza continuità nella conoscenza e
nell’adesione alla verità conosciuta, non è possibile fare un discorso serio su
alcuna cosa, non è possibile dire una parola che valga la pena di ascoltare, di
credere, di trasmettere, di farne la base per l’umano comportamento, per l’umano
vivere?
Continuità della
Tradizione
Si sta forse prendendo atto che là dove il Concilio
Vaticano II è stato interpretato come discontinuità con il passato, come
rottura, come rivoluzione, come cambiamento sostanziale, come svolta radicale, e
dove è stato applicato e vissuto come tale, è nata davvero un’altra chiesa, ma
che non è la Chiesa vera di Gesù Cristo; è nata un’altra fede, ma che non è la
vera fede nella divina Rivelazione; è nata un’altra liturgia, ma che non è più
la Liturgia divina, ma che non è più la Liturgia tutta intessuta di
Trascendenza, di Adorazione, di Mistero, di Grazia che discende dall’Alto per
rendere davvero nuovo l’uomo, per renderlo capace di adorare in Spirito e
Verità; si è andata diffondendo una morale della situazione, una morale che non
è ancorata se non al proprio modo di pensare e di volere, una morale
relativistica, a misura del pensiero non più sicuro di nulla, perché non più
aderente all’essere, al vero, al bene.
Se i timidi segnali di interesse
e di considerazione nei confronti di un pensatore che fu mosso da amore per la
verità e dunque da amore per la Chiesa, la quale non ha innanzitutto da compiere
alcunché se non trasmettere la Verità della divina Rivelazione (e tutto quello
che essa comporta), come è stata recepita e vissuta nel corso dei secoli dalla
Chiesa di Gesù Cristo, guidata dallo Spirito Santo, ha rilevato con assoluta
onestà le variazioni della Chiesa cattolica del secolo XX, ne ha mostrato
l’incongrucnza con la Traditio
Ecclesiae, con quanto cioè nei secoli era stato dalla Chiesa creduto,
insegnato, trasmesso con un linguaggio che non può dire nova (cose nuove, verità nuove), ma tutt’al
più nove (in modo nuovo); se tali
segnali di interesse e considerazione sono segni reali e dovessero ancor
crescere diffusamente, si potrebbe sperare che i tempi del disorientamento in
molta Filosofia e in altrettanta Teologia stiano per essere superati per
lasciare spazio a un pensiero corrispondente alle essenze, alla realtà delle
cose, alla sostanza delle cose, sostanza che non muta, che non può mutare,
neppure quando mutano gli accidenti, le forme esterne, le espressioni
contingenti, che non costituiscono il quid est di una cosa.
È tuttavia
assai dura a morire la mentalità secondo la quale il Concilio Vaticano II sia
stato quasi una rifondazione della Chiesa nei tempi moderni, e che con esso la
Chiesa abbia fatto pace con il mondo, si sia rappacificata con la modernità, con
la filosofia diventata quasi esclusiva negli ultimi secoli, secondo la quale
tutto è sempre in fieri, tutto si evolve, tutto dipende dal pensiero creativo
dell’uomo, tutto è in suo totale potere.
Non solo interpretazioni
Un’altra
idea, molto diffusa, continua a essere sostenuta: quella secondo la quale ci
sarebbero state senza dubbio delle variazioni di rilievo, negative, dopo il
Concilio Vaticano Il, ma esse sarebbero esclusivamente dovute a erronee
interpretazioni del Vaticano II, il quale dovrebbe considerarsi tutto perfetto
in sé stesso e che non conterrebbe nei suoi testi nulla, assolutamente nulla,
che possa dar adito a cattive interpretazioni.
Questo modo di pensare non
tiene conto che i cattivi interpreti, postconciliari, del Concilio, hanno - non
pochi - lavorato dentro il Concilio, i cui testi mostrano in diversi punti
l’influsso dei novatores: in diversi
testi sta qualche radice che favorisce la cattiva interpretazione.
Peraltro
coloro che si appellano al cosiddetto «spirito del Concilio» per superarne la
lettera, per giustificare l’ermeneutica della discontinuità radicale, sarebbero
così poco intelligenti e avveduti da creare il loro ragionamento partendo dal
nulla, dall’inesistente? O partendo da documenti - quelli del Concilio - che con
nessuna delle loro espressioni potrebbero far pensare a novità rispetto al
Magistero della Chiesa nei secoli, negli ultimi secoli, nell’ultimo Pontificato
prima del Vaticano Il?
Nei documenti conciliari non vi sarebbe proprio
traccia di quella mentalità che esisteva chiaramente all’interno del Concilio e
che il cardinal Joseph Ratzinger descrive nel suo libro-autobiografia (La mia vita) in questi termini: «Sempre più cresceva l’impressione
che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di
revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento
ecclesiale che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio
... Le discussioni conciliari venivano sempre più presentate secondo lo schema
partitico tipico del parlamentarismo moderno» (pp. 97-98). «Alla fine “credere” significava
qualcosa come “ritenere”, avere un’opinione soggetta a continue
revisioni» (p. 90).
Dal fenomeno
al fondamento
A questo punto, sono contento di poter riprodurre
per i lettori della prestigiosa rivista Studi
cattolici quanto scrivevo, nel 2005, a modo di prefazione al libro Romano Amerio. Della verità e
dell’amore (Marco Editore), di Enrico Maria Radaelli, con Introduzione
del prof. Antonio Livi:
«La persona e l’opera intellettuale di
Romano Amerio inducono a riflessione; toccano l’essenza della Filosofia e dunque
della Teologia. La vera intelligenza della fede non può aversi se non
all’interno di un pensiero che ha come suo oggetto la verità, e altresì la
certezza della possibilità di raggiungere la verità e di conoscere la verità, di
raggiungerla con corretto ragionamento razionale o di accoglierla dall’alto,
dopo aver compreso che tale verità va accolta e che essa mai è contro
l’intelligenza.
«Non è infatti contro
l’intelligenza aderire a una verità superiore all’umana intelligenza, superiore
all’umano procedere delI’intelligenza, ma illuminante le reali profondità
dell’essere, e che eleva la conoscenza dell’uomo sino a raggiungere la Verità di
Dio, della sua divina Parola, del suo Verbo.
«Romano Amerio fu mirabilmente convinto che
fede e intelligenza debbono necessariamente incontrarsi, non possono mai essere
in contraddizione e in vero contrasto. Egli capì in maniera davvero chiara che
non si fa Teologia senza la vera Filosofia, e che questa non perde nulla della
propria natura che le viene da Dio, quando si lascia illuminare dalla Verità di
Dio, dalla Verità rivelata.
«Tutto il
filosofare di Romano Amerio è guidato da fondamentali certezze, senza le quali
non è più possibile intendersi, trasmettere la conoscenza di ciò che è, non di
ciò che appare. Ecco perché filosofare è sempre un “passare dal fenomeno al
fondamento”, come giustamente rileva Antonio Livi; è un passare dall’apparenza
delle cose alla sostanza od essenza delle cose; è sempre un superamento degli
accidenti per giungere alla sostanza; è sempre un superare ciò che muta, che si
presenta in mutevoli modi e forme, per cogliere l’immutabilità dell’essere,
dunque dell’essenza. delle cose. È dall’immutabilità dell'essenza delle cose che
dipende l’immutabilità della conoscenza, dunque della verità, delle cose.
«Abbiamo perciò il primato dell’essere,
abbiamo il primato della verità, abbiamo il primato della conoscenza, abbiamo il
primato dell’intelligenza sulla volontà e sull’azione (“nihil volitum quin precognitum”). L’“ageresequitur
esse”, l’agere deve conformarsi
all’esse, deve conformarsi alla verità.
«Da quanto detto, si comprende perché Romano
Amerio, da filosofo e da credente, da cristiano, da cattolico, non ha potuto
distogliere il suo sguardo da certi modi di fare teologia, da certi modi di fare
magistero all’interno della Chiesa; non ha potuto - poiché allora avrebbe
tradito la verità e il bene - disinteressarsi della vita della Chiesa, che non è
più concepibile nella sua vera essenza se non deriva dalla Verità e se non tende
alla Verità, alla perfetta trasmissione e conoscenza della Verità di Dio.
«Egli fu tra i più convinti che non sono
possibili mutamenti sostanziali nella conoscenza della verità e tanto meno nella
trasmissione della Verità rivelata; non sono perciò possibili rivoluzioni e
mutamenti sostanziali nella verità e nella vita della Chiesa. Ciò che muta è
accidentale, mai sostanziale; mutano gli accidenti, non le essenze.
«I suoi scritti, il suo amore alla
verità e alla Chiesa, furono da molti non accolti bene, giudicati male, non
compresi. Essi meritano una migliore, più spassionata, più vera conoscenza. Il
suo severo giudizio sulle nuove impostazioni teologiche, e talora anche su certe
posizioni magisteriali degli ultimi decenni della vita della Chiesa, partiva da
convinzioni di ragione c di fede che tenevano conto sia del retto filosofare sia
della totale Traditio Ecclesiae, che è la vera garanzia circa la
conoscenza della Verità rivelata.
«Egli ebbe
anche lucida conoscenza delle condizioni dentro le quali il magistero della
Chiesa diventa sicura garanzia della Verità rivelata. Quelle condizioni debbono
verificarsi tutte, perché l’intelligenza possa comprendere che deve piegarsi
alla Verità, che è tanto più alta e vincolante quanto più essa è superiore
all’umana intelligenza».
†
Mario Oliveri
Vescovo di
Albenga-Imperia
A apresentação da obra de
Romano feita pelo Bispo de Imperia, Dom Mario Oliveri, pode ser lida aqui.
O Resultado Paradoxal do
Concílio e o Sínodo Romano – Capítulo III do Tomo I da Obra Iota Unum. Estudos
Sobre as Transformações da Igreja no Século XX.
Por Romano
Amerio
Tradução: Carlos Eduardo MaculanO resultado paradoxal do Concílio
Vaticano II a respeito de sua preparação se manifesta na comparação entre os
documentos finais e os documentos iniciais (propedêuticos), e também nos três
eixos principais: I – o fracasso das previsões feitas pelo Papa (João XXIII) e
por quem preparou o Concílio; II – a inutilidade efetiva do Sínodo Romano
sugerido por João XXIII como antecipação do Concílio e; III – a anulação, quase
imediata, da Encíclica Veterum Sapientiae, que prefigurava a fisionomia
cultural da Igreja Conciliar.
O Papa João, que havia idealizado o
Concílio como um grande ato de renovação e de adequação funcional da Igreja,
acreditava que também o havia preparado como tal, e aspirava poder concluí-lo em
poucos meses, quiçá como o I Concílio de Latrão com o Papa Calixto II em 1123,
quando trezentos bispos o concluíram em dezenove dias, ou como o II Concílio de
Latrão com o Papa Inocêncio II em 1139, com mil bispos que o concluíram em
dezessete dias.
No entanto, o Vaticano II se abriu em 11 de outubro de
1962 e se encerrou em 8 de dezembro de 1965, durando três anos de modo
descontínuo. O fracasso das previsões tiveram origem em haver-se abortado um
Concílio que havia sido preparado e na elaboração posterior de um Concílio
distinto do primeiro, que gerou a si mesmo. (Nota do tradutor: o autor faz
referência aos rumos que tomou o Vaticano II. Um é o Concílio que se idealizou
pelo Sínodo Romano, outro é o Concílio que “gerou a si
próprio”).
O Sínodo Romano convocado por João XXIII
O
Sínodo Romano foi concebido e convocado por João XXIII como um ato solene e
prévio à grande Assembléia Conciliar, o qual deveria ser a prefiguração e a
realização antecipada do Concílio.
Assim declarou textualmente o
Pontífice na Alocução ao Clero e aos Fiéis de Roma de 29 de junho de 1960. A
todos o Papa revelou a importância do Sínodo e ainda mais anunciou que além da
Diocese de Roma, o Sínodo se estendia a toda Igreja no Mundo. A importância do
Sínodo foi comparável aos Sínodos Provinciais celebrados por São Carlos Borromeo
antes do Concílio de Trento.
Renovava-se o antigo princípio que quer
modelar toda a orbe católica sob o patronato da Igreja Romana. Na mente do Papa
o Sínodo Romano estava destinado a ter um grandioso efeito exemplar que se
depreendia do feito de que o Papa ordenou a tradução de todos os seus textos
para todas as línguas principais do mundo. Os textos do Sínodo promulgados em
25, 26 e 27 de janeiro de 1960 manifestam um completo retorno às essências da
Igreja.
O Sínodo decretava: I – restauração da vida religiosa;
II – a disciplina do clero se estabelece no modelo tradicional,
amadurecido no Concílio de Trento e fundado em princípios sempre professados e
sempre praticados. O primeiro princípio é da peculiaridade da pessoa consagrada
e habilitada sobrenaturalmente para exercer as operações de Cristo e, por
conseguinte, separada dos leigos sem confusão alguma. O segundo princípio era a
educação ascética e a vida sacrificada, que caracteriza o clero, embora os
leigos possam levar uma vida ascese.
Deste modo o Sínodo prescrevia aos
clérigos todo um estilo de conduta retamente diferenciado das maneiras
seculares. Tal estilo exige I - o hábito eclesiástico (batina e hábitos
regulares), II- a sobriedade nos alimentos, a abstinência de espetáculos
públicos e a negação das coisas profanas. Reafirmava-se, igualmente, a
originalidade da formação cultural do clero e se desenhava o sistema sancionado
de forma soleníssima pelo Papa João XXIII no ano seguinte ao Sínodo através da
Encíclica Veterum Sapentiae. O Papa ordenou, inclusive, que se reeditasse
o Catecismo do Concílio de Trento, porém a ordem foi desobedecida. Somente em
1981, e por iniciativa totalmente privada, se publicou na Itália sua tradução,
conforme consta do L’Osservatore Romano de 5 de julho de
1982.